Granita, che passione

Granita, che passione

Una prelibatezza antica

Granita di mandorle
Granita di mandorle
16 LUG 2014
di

Nel bicchiere viene adagiata con dosata potenza quella miscela di acqua, zucchero e pochi ma ben dosati sapori come quello delle mandorle, del cioccolato, dei limoni.

Non è un gelato e non è un sorbetto, non è dura e non è liquida, come viene purtroppo spesso presentata, è la granita. Prelibatezza antica, a lungo prodotta grazie alla neve che veniva trasportata dalle montagne fino a valle su carri coperti da paglia. Questo connubio di dolcezza e semplicità sono un sollievo nelle torride estati siciliane. Disseta e sazia specialmente se accompagnata da una bella “brioche col tuppo”, un soffice pane dolce dalla forma bombata con una mezza sfera sulla sommità che fa pensare allo chignon tipico delle antiche donne siciliane e che in dialetto viene chiamato “tuppo”.

Le origini di questa perfetta miscela sono antiche. Sin dal Medioevo, in Sicilia, i “nivaroli” durante l’inverno accumulavano la neve in dei pozzi ad alta quota e, in estate, coperta da paglia, la trasportavano in paese su dei carretti. Se anticamente si usava direttamente la neve mista a spremute di agrumi o sciroppi, quello che ha fatto diventare la “granita siciliana” il prodotto che oggi tutti noi conosciamo e amiamo, è sicuramente il “pozzetto”. Un tino di legno in cui veniva posto un cestello di zinco che, avvolto da un sacco di juta contenente la neve e del sale raffreddava il prodotto per sottrazione di calore senza che l’acqua congelasse anche grazie a delle palette che ruotavano al suo interno, creando quegli impalpabili cristalli che differenziano la granita da qualsiasi altro prodotto.

Ormai alla neve e al pozzetto sono stati sostituiti la gelatiera e il mantecatore. Il risultato è però il medesimo, la tecnica di lavorazione e gli ingredienti sono la vera differenza tra i vari gelati e sorbetti che fanno parte di una concezione completamente diversa di grana e compattezza del prodotto. La granita si mostra compatta ma è impalpabile e gustosa allo stesso tempo. Servita a pochi gradi sotto lo zero, appena messa in bocca dona una piacevole e mai esagerata sensazione di freschezza al contrario di un sorbetto.

Appena libera i suoi sapori, si dimostra molto più “rustica” di un gelato, grazie alla forza degli ingredienti. Storicamente grazie al sapore di quei grossi e vividamente gialli limoni che costellano la campagna sicula. Molti sono però i sapori che la caratterizzano e ogni località ne ha uno prediletto. Dal pistacchio di Bronte nel Catanese, alla granita di caffè tipica del messinese, passando poi per i gelsi, il cioccolato, le mandorle e la cannella. Allo stesso tempo, al contrario del gelato, essa ci disseta senza lasciarci quell’allappante sensazione che ci porterebbe a bere non appena finito il nostro cono o, per coloro che non vogliono “sporcarsi le mani”, la coppetta.

Durante il periodo estivo, la granita è la signora indiscussa della dieta isolana, accompagnata dalla tanto amata brioche essa disseta e sazia allo stesso tempo mentre il suo gusto unico e introvabile altrove non potrà che condurvi sui passi degli isolani, che amano degustarla a colazione come a pranzo e nei casi più rari anche a cena, magari accompagnata da un bicchiere di limoncello… ma questa è un’altra storia!

Lazzari, un vino di grande personalità

Lazzari, un vino di grande personalità

Una cantina immersa tra i colli bresciani

Vista di un vigneto al tramonto
Vista di un vigneto al tramonto
16 AGO 2014
di

Nella cornice di Capriano del Colle zona di produzione D.O.C. in provincia di Brescia, vengo sorpreso dalla collina che si erge nel mezzo della pianura, il Monte Netto dove si trova la cantina Lazzari.

Qui ho potuto provare il piacere di vini dal color rubino e dal gusto intenso, vini che in questa cantina vengono prodotti nel rispetto del gusto e della terra.

Mentre agitavo il bicchiere, come farebbe il miglior sommelier, anche se con molta meno grazia, scoprivo gli odori della “Riserva degli Angeli” che, insieme al vino “Fausto” dedicato all’omonimo “nonno” della famiglia Lazzari, è uno dei cavalli da battaglia dell’azienda.

Dal colore aggraziato e dal gusto delicato e intrigante, questo vino si unisce ai restanti vini rossi, bianchi e un vino spumante nel formare la piccola ma preziosa collezione di etichette della cantina.

Molte le varietà di viti usate come il Marzemino, il Sangiovese, il Merlot e poi ancora Barbera, Trebbiano, Chardonnay e Soave. Si evincono subito le possibilità che queste uve possono generare. Dai vini beverini a quelli un po’ più impegnativi, senza diventare però difficili da bere e da capire. La bellezza di un continuo giocare con questa miriade di sapori intriga e incuriosisce verso la semplice ma al tempo stesso strutturata corposità di questi vini.

Dai rossi, ai bianchi che passano periodi diversi nelle ormai celebri barrique, le famose botti francesi di rovere da 225 litri e, quando parlo di bianchi in barrique, mi riferisco in particolare al “Bastian Contrario” e per contrario s’intende proprio l’affascinante pratica di vinificare in rosso un’uva bianca.

E’ un vino che, citando Davide Lazzari , “approda sul mercato con la volontà di rompere le righe della consuetudine enoica. Un bianco importante disegnato con mano da rossista”.

Entrando in cantina, sono stato accolto da Davide Lazzari, parte della nuova generazione, che mi ha portato alla scoperta della passione per il vino che ha caratterizzato la sua famiglia per generazioni.

Non ho potuto fare a meno di notare con quanta passione mi venivano raccontati tutti i dettagli della produzione di una D.O.C. quella di Capriano del Colle, quasi sconosciuta che si estende in soli venticinque ettari e, solo tra i comuni di Capriano del Colle, Poncarale e Flero della provincia di Brescia che, si è dimostrata molto valida, in particolare se pensiamo alla vicinissima Franciacorta, un territorio ormai attestato nella grande produzione di vino.

Quando ho chiesto a Davide cosa significa per lui fare parte di questa stupenda realtà e quali sono le sue idee per il futuro, mi ha parlato di un vino visto come un figlio da curare e far crescere finché non è pronto a entrare nel mondo:

“Il mio ingresso in cantina avviene dopo una generazione che si è concentrata sulla qualità massima. L’obiettivo numero uno era la qualità, il mio approccio è ora quello di far virare lentamente l’idea di produzione partendo dall’imprescindibile fondamento di “unicità qualitativa”, per iniziare pian piano ad aumentare l’attenzione sul rispetto dell’ambiente e del prodotto con l’uso di un impianto fotovoltaico, l’eliminazione della chimica di sintesi nelle stabilizzazioni, l’abbattimento dei solfiti, l’agricoltura biologica in avvio, il tutto senza comunque perdere l’attenzione sulla qualità massima e sul massimo rispetto per le varietà di uva e delle annate.

Per quanto riguarda “il futuro” ?

“I miei sogni per il futuro sono di continuare il percorso di mio padre, mio zio e mio nonno riuscendo un giorno, quando non ci saranno più, a fare un vino che sia buono e unico almeno la metà di quelli che hanno prodotto e producono loro nella speranza, di avere un figlio che vorrà fare lo stesso con la stessa mentalità.

Finendo di scrivere questo articolo non posso fare a meno di pensare a quanti prodotti unici ci siano ancora da scoprire in tutta quest’Italia che, in ogni angolo ci stupisce con stupendi esempi di qualità e voglia di coltivare la passione per il buon bere e mangiare.

Taormina, palcoscenico della cucina

Taormina, palcoscenico della cucina

Turi Siligato, uno chef “tagliato con il coltello”

Teatro greco di Taormina
Teatro greco di Taormina
16 OTT 2014
di

Salvatore (Turi) Siligato è una di quelle rare persone che sin da subito mette in chiaro come la pensa. Un uomo “tagliato con il coltello” che imprime la forza di un siciliano fiero della sua terra e di ciò che fa. In quella parte di Taormina quasi nascosta e lontana dal caos dei turisti, che attrae solo chi ha le idee chiare su cosa voglia dire assaporare e ricercare i prodotti unici della Sicilia, questo chef autodidatta rappresenta la propria terra creando nuovi sapori e scegliendo da sé i prodotti.

Mentre scrivo non riesco a trattenere il sorriso nel ripensare alle ore passate nel locale di Turi. Non appena l’ho incontrato e abbiamo scambiato due chiacchiere, è scomparso per riapparire in canottiera, per stare più fresco seduto con me all’esterno del locale immerso nella stupenda Taormina estiva. Entrando nell’osteria Nero d’Avola si possono osservare alcuni dei prodotti scelti, che mettono subito in chiaro qual è la sua filosofia e qual è la sensazione che vuole trasmettere agli ospiti.

Ciò che più mi ha colpito di Turi è la ricerca dei prodotti della sua terra nei mercati, come ad esempio quello di Riposto, o da produttori di montagna o presso piccoli agricoltori, come quello che ho avuto la fortuna di incontrare, un vero contadino armato di coppola e con in mano una generosa cassetta di fragole di bosco. Turi inoltre sceglie il pesce azzurro non allevato, ma pescato con i metodi tradizionali. Come dice lui stesso, le sue acciughe non sono belle a vedersi, poiché si affida a chi ancora le pesca con la “magghia”, un’antica rete portata dagli arabi che forma un muro in acqua che spezza il collo ai pesci ma li fa morire subito senza shock: il risultato è una carne tenerissima.

Dopo avere amabilmente conversato, sono salito sulla stupenda terrazza del locale e mi sono affidato alla sua abilità culinaria. Così tra tartare di tonno e scampi crudi, avocado e arance siciliani, fritto di patate viola e fiori di zucca e poi ancora tartare di polpo e paprica e un involtino di limone, pomodoro e bottarga, mi sono lasciato entusiasmare dagli stupendi abbinamenti. Dopo queste delizie non sono mancati i pesci pettine e le sardine, pesci “poveri” che qui si riscoprono in modo inaspettato. Mentre attendevo ho avuto l’onore di entrare nella piccola ma stupenda cucina per sbirciare come questi meravigliosi ingredienti diano vita a dei piatti unici. Davanti a me sono sfilati pesci e frutti dai mille profumi e sapori, un vero turbinio di colori che valorizza magnificamente i piatti.

Alla fine di questa perfetta esperienza ammetto di aver pensato che solo della buona musica avrebbe potuto accompagnare la mite giornata estiva. Ed ecco che dal piano inferiore della terrazza, la musica di un pianoforte sale su, sempre più dolce, sulle note di Chopin. Ho sceso le scale e iniziato a sorridere mentre, cercando di non fare troppo rumore, mi sono avvicinato a una delle sedie dietro il pianoforte: lo chef stava suonando, non ho potuto fare a meno di restar lì quasi ipnotizzato a guardarlo, mentre la serata estiva andava sfumando sulla splendida città a picco sul mare.